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La Sinistra dell’Europa: trionfo o trappola?

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La Sinistra dell’Europa: trionfo o trappola?

Di Conn Hallinan

15 febbraio 2016

Nello scorso anno, i partiti di sinistra e di centro-sinistra, hanno preso il controllo di due paesi europei e mantengono l’equilibrio di potere in un terzo. Le elezioni in Grecia, Portogallo e Spagna hanno visto i partiti di destra prendere una batosta   e diecine di milioni di elettori rifiutare le politiche di austerità economica dell’Unione Europea (UE).

Ma che cosa possono ottenere   questi partiti di sinistra? Possono davvero ridurre le tasse regressive e ripristinare il finanziamento per l’istruzione, la sanità e i servizi sociali? Possono evitare i programmi di austerità per  dare una spinta alle economie    appesantite da sconcertanti numeri di disoccupati? O sono intrappolati in un gioco con i dadi truccati e le carte segnate?

E, peraltro, chi è la sinistra? I partiti socialisti e social democratici in Francia e in Germania non hanno alzato un dito per appoggiare le campagne anti-austerità condotte dalla sinistra in Grecia, Spagna, Irlanda, o Portogallo, e molti di loro hanno contribuito a istituire – o hanno accettato – politiche neoliberali a cui ora dicono di opporsi. I partiti socialisti  riconosciuti in tutta Europa tendono a fare propaganda da sinistra, ma governano dal centro.

I terremoti elettorali dell’anno scorso sono stati innescati non dai partiti socialisti tradizionali – quei partiti  non hanno fatto un granché  in Grecia, Spagna e Portogallo – ma dai partiti della sinistra attivista, come Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, e il Blocco della Sinistra in Portogallo.

Con l’eccezione del movimento indipendentista Sinn Féin dell’Irlanda, tutti questi partiti hanno avuto origine o sono diventati preminenti durante il crollo finanziario del 2008 che ha gettato l’Europa nella crisi economica. Podemos è emerso direttamente dalle massicce dimostrazioni di piazza organizzate dagli “Indignados” (Gli Indignati) nelle maggiori città della Spagna nel 2011.

Syriza e il Blocco della Sinistra hanno preceduto  l’insurrezione del 2011, ma sono stati politicamente marginali fino a quando l’UE ha istituito un programma draconiano di austerità che ha prodotto massiccia disoccupazione, aumento di senzatetto, povertà e disuguaglianza economica.

L’opposizione alla politiche di austerità della “Troika” – la Commissione Europea,   la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale – ha scavalcato questi partiti della sinistra dalla periferia al centro. Syriza era diventato il più grosso partito in Grecia e assunse il potere nel 2015. Podemos è stato l’unico partito che ha ottenuto voti nelle recenti elezioni spagnole e mantiene l’equilibrio di potere nella formazione di un nuovo governo. E il Blocco di Sinistra, insieme all’Alleanza Comunisti/Verdi, ha formato una coalizione di governo con il Partito Socialista dei Lavoratori del Portogallo.

Con il successo, però, sono,  arrivati i grattacapi.

Syriza ha vinto le elezioni con il programma di opporsi alle politiche di austerità della Troika, soltanto per poi doverne ingoiar ancora altre. In Portogallo il blocco di Sinistra e l’Alleanza Comunisti/Verdi sono scontenti dell’impegno del Partito Socialista di ripagare il debito  non pagabile del Portogallo. Podemos ha proposto un fronte unito con il Partito Socialista, per poi scoprire che ci sono alcuni in quella organizzazione che preferirebbero andare a dormire  con il Partito Popolare di destra della Spagna piuttosto che condividere il pane con Podemos.

Lezioni imparate?

E’ ancora troppo presto trarre delle conclusioni stabili su quello che ha compiuto il terremoto del 2015 – e le elezioni in  Irlanda devono ancora svolgersi – ma ci sono delle lezioni ovvie.

Primo: l’austerità è impopolare. Come ha detto il primo ministro italiano Matteo Renzi, dopo le elezioni spagnole: “I governi che applicano rigide misure di austerità, sono destinati a perdere la loro maggioranza.”

Secondo, se si è una piccola economia che  prende il potere del capitale in maniera diretta  è probabile che si venga  calpestati. La Troika non ha soltanto costretto Syriza a istituire maggiore austerità, ma l’ha resa più onerosa, un messaggio non molto discreto agli elettori in Portogallo e Spagna. La gente in questi due paesi non ha, però, abboccato, in gran parte perché dopo quattro anni di miseria, le loro economie non sono ancora tornate a dove erano nel 2008.

La Troika può distruggere la Grecia, e anche il Portogallo, ma la Spagna è un’altra faccenda. E’ la quattordicesima più grande economia del mondo e la quinta più grande dell’UE. E ora l’Italia – la quarta maggiore economia dell’UE – sta diventando sempre più insofferente de

alle severe politiche dell’UE che hanno mantenuto alta la percentuale delle persone senza lavoro.

Ma queste coalizioni anti-austerità possono costringere la Troika a indietreggiare?

Gran parte del problema è la stessa UE, e in particolare, l’eurozona, cioè i 19 paesi che usano l’euro come valuta comune. L’euro è controllato dalla Banca  Centrale Europea che, praticamente, vuol dire Germania. Durante una crisi economica, la maggior parte dei paesi manipolano le loro valute – vengono in mente gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Cina – come parte di una strategia per estinguere un debito e far ripartire le loro economie. I membri dell’eurozona non hanno quel potere.

La Germania persegue politiche che favoriscono la sua economia industriale, spinta dalle esportazioni, ma quel modello non è per affatto come le economie della Grecia, del Portogallo, della Spagna e neanche dell’Italia. Nessuno di quei paesi è probabile che riproduca il modello  tedesco, perché non hanno le risorse (o la storia) per farlo.

A complicare le cose ci sono divisioni politiche tra gli oppositori di sinistra della Troika. Per esempio, Syriza è sotto attacco dal suo fianco sinistro perché non esce dall’eurozona. L’ex principale consigliere economico di Syriza, Jannis Milios accusa che Syriza ha abbandonatole sue radici di attivismo e che è diventato semplicemente un partito politico più interessato al potere che ai principi. Ci sono tensioni analoghe in Spagna e in Portogallo.

Ma le scelte di che cosa fare non sono ovvie.

Ritirarsi dall’eurozona può essere pericoloso. Nel caso della Grecia la Banca Centrale Europea ha minacciato di interrompere la fornitura del denaro al paese, rendendo quasi impossibile che Atene paghi il cibo, le importazioni mediche e di energia o che finanzi le sue esportazioni. In breve, collasso economico e probabile caos sociale.

Seguire le politiche della Troika, però, condanna i paesi al debito permanente, all’aumento dei tassi di povertà, e a un crescente divario tra ricchezza e povertà.

Il Portogallo ha uno dei tassi più alti di disuguaglianza in Europa, e il tasso nazionale di disoccupazione è del 21% ed è il doppio tra i giovani. Le cifre della Grecia sono di gran lunga più alte.

Tuttavia le coalizioni di sinistra non sono certo impotenti.   La coalizione governativa del Portogallo ha appena introdotto un bilancio che aumenterà il salario minimo, ribalterà i tagli dei salari  del settore pubblico, ridurrà molti aumenti fiscali, fermerà la privatizzazione dell’istruzione e dei trasporti e impiegherà più  denaro per le scuole e l’assistenza medica. Questo però non significa che le cose vadano lisce. La coalizione ha già litigato per il salvataggio  di una banca  e non è d’accordo sul debito, ma finora i partiti stanno ancora lavorando insieme. Jeremy Corbyn, il leader del Partito Laburista Britannico di recente eletto, accoglie saluta l’alleanza con il Portogallo come l’inizio di una coalizione anti-austerità in tutto il continente.

Stanno anche  avvenendo sviluppi  interessanti in Spagna che affrontano le tensioni tra l’attivismo nelle strade e i partiti politici . Emily Achtenberg, di Boston, esperto di edilizia da lungo tempo e inviato/analista del NACLA, (Congresso Nordamericano per l’America Latina – un’organizzazione indipendente no profit), ha studiato la “Piattaforma delle persone colpite da ipoteche” (PAH). La PAH  è venuta fuori dalla catastrofica crisi degli alloggi causata dal crollo finanziario del 2008. Circa 650.000 case sono pignorate e 400.000 famiglie sono state sfrattate.

Con l’aiuto di Podemos, gli attivisti progressisti hanno ottenuto il controllo delle grosse città di Madrid, Barcellona, Cadice e Saragozza. Ada Colau, sindaco di Barcellona, è fondatrice della PAH.

In Spagna, i proprietari di case sono responsabili dei debiti anche dopo aver dichiarato bancarotta, debiti che possono impedire loro di prendere in affitto un appartamento, di comprare una casa o di acquistare una macchina.

Allo stesso tempo, secondo il censimento del 2013, 34 milioni di case e di appartamenti, cioè il 14%  delle residenze del paese, sono vuote e per lo più sono proprietà delle banche. E, da quando la città è diventata una delle calamite turistiche dell’Europa, “diecine di migliaia di appartamenti che una volta erano abbordabili, vengono commercializzati per i turisti tramite piattaforme on line come Airbnb,” dice Achtenberg, “esacerbando la situazione”. Ma la PAH e i suoi alleati al consiglio comunale, hanno rallentato gli sfratti, hanno inasprito i controlli su proprietari Airbnb abusivi e si sono appoggiati  alle banche per liberare case e appartamenti.

La PAH ha circa 200 gruppi  in tutto il paese e sta programmando di fare pressione sul parlamento nazionale per porre fine alla legge del “debito per tutta la vita”. Mentre si è alleata con Podemos, la PAH ha mantenuto la sua indipendenza politica, operando in due modi: sit-in e proteste e  candidature a una carica.

“Un problema perenne,” dice Achtenberg “è se lo slancio per il cambiamento progressista viene  dall’interno delle istituzioni, o dalle strade. A Barcellona, adesso, sembra che siano necessarie entrambe le strategie, e stanno funzionando.” Come dice la Colau, riferendosi ai movimenti progressisti: “Entrambe sono indispensabili. Affinché esista le vera democrazia, ci dovrebbe essere sempre una cittadinanza che tiene d’occhio il governo – indipendentemente da chi c’è in carica.”

Mettere la gente negli appartamenti e aumentare i salari minimi non basta a rovesciare il capitalismo, ma molti attivisti sostengono che tali vittorie sono essenziali per convincere le persone che il cambiamento è possibile e che le Troika non è onnipotente. Compiacciono anche il  forte appello della Sinistra: costruire una società umanistica.

Trovare quella linea sottile tra il cambiamento e la cooptazione non è facile, e una formula non si adatta a tutte le circostanze. La Spagna ha più spazio vitale del Portogallo e della Grecia, semplicemente perché è più grande. Forse i portoghesi trovano la loro strada un po’ più facile, semplicemente perché hanno degli alleati nell’eurozona. Come dice il Primo Ministro greco Alexis Tsipras: “Penso che non sia tanto facile cambiare l’Europa quando si è da soli.”

Alla fine la strada può somigliare a quella vecchia canzone pacifista: “Se due più due

più 50 fanno un milione, vedremo arrivare quel giorno.” (One Man’s Hands, di Pete Seeger, n.d.t.).

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/europes-left-triumph-or-trap

Originale : Dispatches From The Edge

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

 

 

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